Percorso a piedi
Distanza: 6,78 chilometri.
Dislivello in salita: +/- 612 metri.
Tipo di strada: strade forestali.
Punto di partenza: la Rocchicciola.
Adatto a famiglie: adatto a famiglie anche con bambini da 8 anni in su con predisposizione alla camminata.
Attività da fare: trekking.
Focus: la Rocchicciola, con i suoi scorci su Assisi e la Rocca Maggiore.
Accessibilità: punto di partenza con mezzi propri o mezzi pubblici. Il percorso non è adatto a essere percorso in carrozzina. Fondo e dimensione si prestano sempre all’utilizzo della joëlette anche se alcuni tratti di forte acclività richiedono conduttori capaci e allenati.
Nonostante la vasta rete escursionistica del Monte consenta varie possibilità di rientro, in caso di escursionisti non esperti e senza una carta della zona, si consiglia di scendere per lo stesso percorso suggerito per la salita.
La salita e soprattutto la discesa vanno affrontate con calzature ad alta scolpitura; nella stagione calda, è necessario avere con sé almeno due litri d’acqua a persona.
Riaperta al pubblico e con i suoi scorci su Assisi e la Rocca Maggiore, la Rocchicciola è una delle rotte di ascesa al monte Subasio più affascinanti, suggestive e meno trafficate.
Parcheggiare gratuitamente nelle immediate vicinanze del sentiero è possibile solo arrivando molto presto al mattino.
Se non si trova posto, consigliamo di parcheggiare al Parcheggio Matteotti, seguendo le indicazioni qui.
Lasciata la macchina al parcheggio, faccia alla Rocca, si va a destra girando poi di nuovo a destra, per via Eremo delle Carceri.
Si sale fino a Porta dei Cappuccini, e, appena oltrepassata, si prende a sinistra per il bel viale alberato a pini, che sale alla Rocchicciola.
Ci si trova ora, allo stesso tempo, sulla via di Francesco e sul sentiero 350, da percorrere senza prendere alcun bivio, oltrepassando a sinistra l’innesto del 351 e arrivando fino al bivio molto evidente per il 353, che si diparte in salita.
Seguendo il 353, si prosegue senza mai cambiare direzione per raggiungere la Strada del Subasio.
Appena arrivati, il rifugio si trova attraversando la strada e scendendo qualche decina di metri, proprio lì davanti.
Gli Stazzi del Subasio sono degli splendidi prati sommitali utilizzati per lo più per il pascolo equino, molto apprezzati per i loro panorami sconfinati su un’ampia porzione di Centro Italia.
Il toponimo, molto frequente nella zona dell’Appennino, indica dei recinti, per la maggior parte mobili, in cui era ricoverato il bestiame durante la transumanza.
Gli Stazzi sono caratterizzati dall’opera in bronzo Il Fuoco di Fiorenzo Bacci, ispirata, come altre disseminate sul Monte, al Cantico delle creature di san Francesco.
Tuttavia, il Subasio è una montagna sacra da ben prima del francescanesimo: i suoi prati, infatti, sono sormontati da Colle San Rufino, un castelliere preromano di probabile funzione religiosa, il cui vallo e aggere sono ancora perfettamente visibili dopo 2.500 anni.
Proprio qui è stato ritrovato, tra le altre cose, il Guerriero del Subasio, configurato come Marte in assalto, uno dei reperti più rinomati in queste zone.
Appena sotto i prati, si trova un piccolo rifugio sempre aperto e molto essenziale, con camino, tavolo e brande, che può offrire un ottimo riparo in caso di maltempo.
L’itinerario, in estate, è per lo più ombreggiato, mentre in inverno, fino a che non entra nei prati, è sempre riparato dai venti più freddi.
Il percorso sale attraverso il bosco usando strade forestali interdette al transito di veicoli, e, data la larghezza, consente spesso di camminare agevolmente anche in gruppo.
Vale la pena di ricordare come il bosco che si attraversa è in realtà uno dei più imponenti rimboschimenti europei del secolo scorso, realizzato nei primi decenni del Novecento a opera di maestranze umbre coordinate dalla Forestale.
Insieme alle centinaia di braccianti umbri, per un certo periodo, lavorarono anche alcune decine di prigionieri dell’esercito austro-ungarico, per questo è tradizionalmente conosciuto come “rimboschimento dei prigionieri”.
Il Subasio, durante tutta l’età tardo medioevale e rinascimentale, era stato interamente diboscato per crearvi pascolo, con l’eccezione della meravigliosa Lecceta dell’Eremo, che venne preservata per uso culturale.
Pur essendo impossibile comparare la sua bellezza con quest’opera di rimboschimento, conoscendo la storia del Monte, non si può che apprezzare l’intervento compiuto, con un enorme investimento, che dimostra una sensibilità ecologica che tendiamo erroneamente ad attribuire solo all’epoca attuale.